La seconda verità, un romanzo di Anna Verlezza

Dove cercare un romanzo che parli di te, di chi conosci, dei tuoi rapporti e di quanto l’individualismo sia dannoso senza che narri i posti e le persone che conosci in prima persona? La seconda verità di Anna Verlezza ti immerge nella vita quotidiana, nei rapporti sul posto di lavoro, nel privato, in famiglia. Lì, dove ti senti a casa, dove l’apparenza della concordia e della pace la fanno da padrone, ecco che il cuneo del dubbio penetra il cervello. Sì, perché l’autrice casertana, quando narra le vicende di Rita, narra le tue vicende, i tuoi e i nostri rapporti con il terzo.

È un mondo normale, un paese o una città che tutti noi abbiamo visto e conosciuto, lo sfondo de La seconda verità e, questo, non credo sia un caso. Nell’eccezionale sta il comune, come è vero il viceversa. Proprio in questi fattori sta la genialità di Anna, scrittrice che, attraverso la profondità della penna, riesce a rendere letteratura la quotidianità. Quello su cui si vuole calcare la mano sono, ad avviso di chi scrive, le piccole incongruenze della vita, quei fattori che, spesso, noi stessi siamo i primi a trascurare e che proprio a noi fanno riferimento. In un concatenarsi di situazioni, cause ed effetti, questi piccoli segnali inascoltati, queste piccole disattenzioni prendono inevitabilmente l’aspetto dei macigni bloccati sullo sterno delle nostre vite, rendendoci incapaci a respirare.

Le tematiche che La seconda verità porta alla luce attengono da una parte al romanzo di critica sociale, quelle che nella tradizione nostrana fanno capo ad Alba De Céspedes, con quella scrittura del tutto quotidiana e al contempo capace di gridare all’autoaffermazione e all’eguaglianza sociale. Intravvediamo questi elementi nei vari monologhi interni della protagonista, Rita, e nell’approccio della stessa nelle varie situazioni della quotidianità, in cui lo status di donna diventa spesso uno svantaggio nel mondo misogino e carbonizzato contemporaneo. Altro punto, con radici questa volta che sprofondano nella letteratura d’oltreoceano, contempla la facilità con cui ogni singolo umano può incappare in quell’incomunicabilità che preclude ogni forma di autoaffermazione e di realizzazione di sé, ma non solo: anche di se stessi in rapporto agli altri.

Insomma, si parla di isolamento, di mancanza di comunicazione, di segreti e di vite buttate. Scorrendo le prime pagine, quanto può uscire non fa presagire nulla di buono, nulla di vitale in senso letterale. Sarà solo la forza e la caparbietà di Rita, che non avrà più nulla da perdere a dimostrare che lei vale, che la sua vita vale. Ancora, tematicamente, torniamo in ambito anglosassone, una super-eroina fuori contesto alla quale non servono super poteri né magia per risollevarsi. Solo la fede in sé. Ma questo, chiaramente non può avvenire senza l’aiuto di nessuno, perché, ancora una volta, sono la solitudine e la clausura che portano Rita nella condizione in cui si trova.

Come si può notare, già molti sono gli elementi che permeano queste pagine; sono molti, ma non finisce qui. Una grande capacità narrativa sta nel gestire le varie sottotrame in maniera coerente ed efficace. E allora che fa Anna Verlezza? Aggiunge quel pizzico di noir, quel giusto di mistero a rendere ancora la trama più intricata e, anche qui, lo fa con la maestria dei maestri del genere, dai giallisti inglesi passando alle capacità di gestire gli elementi spia tipica dei narratori d’oltreoceano, e, ancora, attraverso quella psicologia  turbata e snaturata dei maestri francesi. Se il concetto di verità è in sé e per sé personale e contraddittorio, tanto vale spendersi ad ottenere la propria, non per finire con un banale e insensato “te l’avevo detto”, ma per prendere la propria mano sinistra nella destra e portarsi in salvo dalle bassezze, che non sono profondità, della nostra vita di tutti i giorni.