Introduzione a Gurdjieff, al “Belzebù” e all’universo degli esseri tricerebrali

Filosofo, mistico, esoterista, maestro di danze armene, musicista e scrittore: Georges Ivanovic Gurdjieff fu personaggio poliedrico perennemente avvolto da un alone di mistero. Non v’è certezza sulla sua data di nascita: si ritiene che sia nato nel 1877 in Armenia, ma altre fonti riportano la data del 1872 o, ancora, del 1866. Sappiamo che, dopo l’adolescenza, egli intraprese diversi viaggi spirituali, in particolare in Asia centrale. Se ne trova testimonianza negli Incontri con uomini straordinari (1963), un’autobiografia romanzata in cui non sempre risulta agevole distinguere gli accadimenti reali da quelli metaforici e simbolici.

In età matura, Gurdjieff iniziò a radunare presso di sé diversi curiosi, che di lì a breve divennero veri e propri discepoli. Nel 1922 giunse in Francia, sempre al seguito di un numero di allievi che cresceva costantemente. Gli insegnamenti praticati, destinati al raggiungimento di un grado di conoscenza obiettiva, erano tenuti segreti ai non adepti. Solo verso il termine della propria esistenza terrena Gurdijeff decise di dedicarsi alla scrittura: lo scopo era diffondere quel messaggio che, a suo dire, avrebbe permesso agli uomini di salvarsi.

I racconti di Belzebù a suo nipote (1950) è forse la sua opera più celebre. Non si tratta di un saggio filosofico, ma di un lavoro ben più complesso che può essere identificato quale romanzo filosofico. L’Autore adotta l’espediente della narrativa fantascientifica per trasmettere i principi cardine del proprio insegnamento e per offrire la propria visione dell’essere umano. In una sorta di prologo che anticipa il contenuto del libro, Gurdjieff invita a leggerlo per tre volte («La prima volta, almeno come vi siete meccanizzati a leggere tutti i vostri libri e giornali, la seconda volta, come se la leggeste ad un ascoltatore estraneo e la terza volta, cercando di penetrare l’essenza stessa di ciò che ho scritto»).

Per sgomberare il campo da possibili incomprensioni è bene mettere in chiaro subito che il protagonista de I racconti di Belzebù a suo nipote (di qui in avanti solo “Belzebù”), pur essendo dotato di corna, non ha a che fare col Diavolo. Belzebù potrebbe definirsi un “marziano”, in quanto abitante di Marte, pur non essendo nativo di quel pianeta.

Giulio Romano, dettaglio di affresco della Sala di Amore e Psiche di Palazzo Te (Mantova).

L’ambientazione del Belzebù è nientemeno che l’intero Universo. Già dalle prime pagine apprendiamo che l’uomo – quell’individuo che da diverso tempo occupa il pianeta terrestre credendosi al centro di ogni cosa – non è l’unico essere senziente. Ci sono infatti miriadi di pianeti nel Cosmo, alcuni dei quali sono abitati da creature che nulla hanno da invidiare agli esseri umani, anzi. E tutti i viventi, uomini compresi, appartengono alla medesima categoria di esseri tricerebrali. Il termine “tricerebrale”, coniato da Gurdjieff, significa essere dotato di tre cervelli o centri motori: centro intellettivo, centro motorio e centro emozionale. Animali e piante, invece, sono esseri bicerebrali e unicerebrali.

Nella trama del Belzebù si rinviene una storia nella storia. All’interno del fantastico viaggio su una nave spaziale che fluttua tra i pianeti del Cosmo si inseriscono gli interminabili racconti in prima persona del protagonista, Belzebù, a beneficio del giovanissimo nipote Hassin (e, ovviamente, del lettore). Si tratta di una fonte preziosissima, perché permette di ripercorrere la storia degli uomini sotto la lente di un individuo dotato di intelligenza superiore. Belzebù, infatti, nel corso della propria esistenza ha raggiunto un grado di conoscenza superiore tramite il “lavoro su di sé”.

Ogni uomo è dotato di un corpo planetario, ossia il “rivestimento” materiale che tutti conosciamo e percepiamo, e di un corpo esserico superiore, un’entità dotata di una grandissima potenzialità. È dovere di ogni individuo adempiere i cosiddetti obblighi esserici, ossia la pratica e lo sforzo del volere che permette di avvicinarsi, grado per grado, ad uno stato di conoscenza obiettiva. Ecco che alla concezione giudaico-cristiana della vita come dono si contrappone l’intuizione mistica del Gurdjieff che vede la vita come debito. Secondo questa lettura, ognuno è chiamato ad intraprendere il percorso indicato per uscire da uno stato primordiale di conoscenza descritto come «esistenza di veglia quotidiana» o «conscio di veglia». Per fare ciò, l’uomo deve svolgere i partk-dolg/doveri esserici, ossia impegnarsi per mezzo del lavoro cosciente su di sé e della sofferenza volontaria.

Ma come spiegare lo stato di dormienza che affligge tutti (o quasi) gli abitati della Terra? Gurdjieff narra che ciò fu dovuto ad un errore degli alti servitori del Creatore, entità unica ed eterna che dimora nel Sole Assoluto. A causa di un calcolo sbagliato che avrebbe compromesso tutto il delicato sistema di equilibri cosmici che permea l’Universo, la Grande Natura dell’allora spopolato pianeta Terra diede alla luce gli uomini, il cui scopo era esistere e poi morire e, in tal modo, servire alla trasformazione delle sostanze cosmiche generali. In altre parole, la vita degli umani era nientemeno che un “mezzo” finalizzato a preservare il Cosmo. Tuttavia, gli alti servitori del Creatore – Angeli, Arcangeli e Serafini – si resero presto conto dei rischi che il Cosmo avrebbe corso una volta che gli esseri umani fossero venuti a conoscenza della vera ragione del loro esistere. Pertanto, per evitare un cataclisma di proporzioni immani, diedero a questi un nuovo organo vitale.

Cosa sia e dove si collochi tale organo – l’organo di kundabuffer – non è chiaro. Sono però chiari gli effetti: l’organo fa in modo che il soggetto percepisca la realtà alla rovescia. L’uomo è dunque portato ad orientare il proprio agire esclusivamente alla ricerca di sensazioni di piacere e di soddisfazione e, in assenza di concrete minacce o intimidazioni, si sottrae ai propri obblighi senza sentirne il rimorso. Successivamente, una volta stabilizzati gli equilibri cosmici, agli uomini è stato finalmente asportato tale infelice organo, ma non senza conseguenze. I suoi effetti nefasti hanno fatto in tempo a “cristallizzarsi” negli individui e a tramandarsi così di generazione in generazione.

Michiel Jansz van Mierevelt, Lezione di anatomia del dottor Willem van der Meer, 1617 (dettaglio).

Lo sforzo a cui ogni uomo è chiamato è dunque quello di superare questo stadio di intorpidimento (dovuto ai “residui” dell’organo di kundabuffer) e raggiugere i più alti gradi di conoscenza. Per la piena conoscenza dei fenomeni che ci circondano, spiega l’Autore, l’uomo non deve limitarsi ad impiegare il centro intellettivo, ma deve comprendere i fenomeni esteriori per mezzo di tutti e tre i cervelli di cui è dotato. Il centro intellettuale, il centro motorio e il centro emozionale devono progredire ed assestarsi sullo stesso livello per generare un pensiero attivo.

Il racconto è un percorso mistico tra principi apparentemente astrusi, spesso battezzati con nomi impronunciabili: le leggi cosmiche fondamentali sono l’Heptaparaparshinokh e il Triamazikamno (in quest’ultima si riconducono le tre forze indipendenti: Affermazione, Negazione e Conciliazione). L’Autore si sofferma sull’importanza degli impulsi essericifede, speranza e amore – i quali sono stati sostituiti negli uomini con cose “simili”, con la conseguenza che oggi gli uomini non “credono” nel senso di avere fede, ma sono semplicemente dei creduloni, e nemmeno “amano”.

Ancora, Gurdjeff ci mette in guardia su una falsa credenza dovuta ad anomalie dello psichismo degli uomini: “Bene” e “Male” non sono influenze esteriori e indipendenti, ma le loro cause vanno ricercate negli individui stessi. Del Belzebù ci sarebbe molto altro di cui parlare, e in particolare su religioni, guerre, sovrappopolamento, messaggeri del Creatore (Buddha, Gesù Cristo e Maometto, i cui originali messaggi sarebbero stati distorti dagli uomini), alchimia, ecc., ma non è questa la sede adatta per dilungarsi oltre. Per i più audaci, l’invito è di armarsi di pazienza e affrontare la lettura del voluminoso romanzo; per coloro che sono più interessati ad una sintesi della menzionata filosofia si consiglia l’opera di Luigi Maggi intitolata Gurdjieff. Vita e opere di un uomo straordinario (2006).