Oggigiorno uno dei temi più comuni sembra essere la perplessità suscitata dai vaccini contro il Covid e la paura a inocularseli, o, più semplicemente, la totale avversità verso di essi derivante dai dubbi riguardo i loro componenti – invero, verrebbe da dire dalla scarsa conoscenza di ciò che compone realmente un vaccino.
Tuttavia, a ben vedere sono temi già noti, risalenti all’invenzione di questa pratica che così tanto ha cambiato la vita umana: attacchi ai vaccini e la perplessità a farseli iniettare si possono trovare già verso la fine del XVIII secolo, momento in cui vennero iniziate le prime sperimentazioni e creati i primi vaccini contro il vaiolo. Una critica a coloro che per paura li aborrivano, e, prima ancora, la pratica dell’inoculo del vaiolo (anche detta variolazione) si può trovare nell’ode di Giuseppe Parini L’innesto del vaiuolo.
Risalente al 1765, quindi anteriore alla creazione dei primi veri vaccini contro questa malattia che da secoli faceva stragi nel mondo, la poesia rappresenta un elogio alla pratica della variolazione, vista come una grandissima scoperta scientifica. Essa si presenta come un’ode: componimento poetico risalente all’epoca ellenistica caratterizzato da un accompagnamento musicale, da una struttura metrica complessa e dalla varietà dei temi. L’innesto del vaiuolo è composto da strofe di nove versi di schema metrico ABbCaddCC alternanti endecasillabi e settenari.
Il componimento è dedicato al dottore Giammaria Bicetti de’ Buttinoni che promuoveva la variolazione in Italia. Esso si apre paragonando il dedicatario a Cristoforo Colombo: così come il genovese non diede ascolto al riso degli europei e riuscì ad abbattere «i paventati d’Ercole pilastri», Bicetti deve perorare il suo intento di diffondere l’inoculo del vaiolo in Italia non dando ascolto alla «turba ignara» che «or condanna il cimento/ or resiste all’evento/ di chi ‘l doppio tesor le reca; e sprezza/ i nuovi mondi al prisco mondo avvezza» (vv. 1-36).
Successivamente, Parini passa a descrivere il tragico effetto che ha il vaiolo sui «pargoletti», portando al deturpamento dell’aspetto e, nella maggior parte dei casi, alla morte. Nulla vale contro questo «flagello». Tuttavia, in Oriente, ove viveva quel popolo allora chiamato «barbaro e rude», l’inoculo era già diffuso, cosa che portò alla riduzione della percentuale di morti per vaiolo: «Però d’uman gregge/ va Pechino coperto;/ e di femmineo merto Tesoreggia il Circasso» (vv. 37-99).
Si passa poi a un elogio di Maria Wortley Montaigue, che, dopo aver seguito suo marito a Costantinopoli, inviato quale ambasciatore della Corte Britannica, torna in Inghilterra promuovendo la variolazione: ella è la prima a praticare l’innesto anche in Europa. Tuttavia, «Rise l’Anglia la Francia Italia rise/ al rammentar del favoloso Innesto». Condannando la prole alla morte certa, il destino dell’ignorante volgo europeo, che «contra ragione or di natura abusa;/ or di ragion mal usa/contra natura che i suoi don gli porge», pare essere segnato (vv. 100-135).
Infine, torna nuovamente una supplica al dottor Bicetti perché non desista dal suo intento; a ben vedere, già molti saggi sono pronti a scagliarsi contro la popolazione che aborrisce l’innesto: Bicetti dovrà correre sulle orme di questi e combattere l’ignoranza, così che finalmente i campi tornino a riempirsi di giovane manodopera e farà ridestare il dio Imene «che infecondo or erra» in quanto il morbo rendeva rare le unioni fra i fanciulli (vv. 136-189).
L’innesto del vaiuolo fa parte della prima fase delle odi, quella dedicata all’impegno morale e civile; insieme a questo componimento compaiono Il bisogno, La vita rustica e L’educazione. Questa ode rappresenta una grande innovazione in ambito italiano, essendo il primo componimento poetico incentrato sulla descrizione e valorizzazione di una pratica medica. Questo componimento ben rappresenta le Odi di Parini, dove, più che concentrarsi su un argomento specifico analizzandolo, mettendolo in ridicolo e facendone notare le frivolezze di base come succede con la nobiltà nel Giorno, molteplici sono le tematiche. All’interno delle odi Parini commenta la società nei suoi valori positivi, cercando di indicare la retta via da seguire; insomma, Parini in questi componimenti sembra affibbiarsi un ruolo da vate.
Il chiaro intento sotteso alla stesura dell’ode è quello di promuovere il progresso scientifico – in questo caso rappresentato dall’inoculo del vaiolo – e invitare quante più persone a praticarlo. Tuttavia, spesso il progresso porta con sé la paura. Un esempio affatto significativo ne è la scoperta delle Americhe: l’ampliamento dei confini allora conosciuti portò a un senso di smarrimento che dilagò per l’epoca (in letteratura il manierismo è una chiara dimostrazione di ciò). Davanti a ciò che è ignoto e potrebbe sconvolgere la vita futura, spesso l’uomo risulta essere pavido e restio ad accogliere il progresso, non azzardandosi a valicare «i paventati d’Ercole pilastri» per paura delle conseguenze che potrebbero giungere da una tale ardita azione. Eppure, l’inizio dell’Innesto del vaiuolo potrebbe essere interpretato come una supplica a tutti gli uomini e non solo al dottor Bicetti: così come Cristoforo Colombo non temette di affrontare l’ignoto e di varcare le colonne d’Ercole (ossia i confini del mondo allora conosciuto), l’uomo non deve temere il progresso, ma deve fidarsi di esso e accoglierlo. In fondo, il nostro non sarebbe un salto nell’ignoto come il viaggio di Colombo alle Americhe, bensì, semplicemente, un fidarsi della scienza e di ciò che è stato fatto, che è fatto e che sarà fatto coscienziosamente tramite sperimentazioni ai cui risultati tutti hanno accesso.
Lungi dal paragonare la vaccinazione alla pratica della variolazione, che, sebbene avesse un tasso di mortalità che si aggirava tra il 0,5 e il 2 % – certamente lontano dal circa 30% del vaiolo –, certo non era sicura al 100%, tuttavia, da questa semplice analisi dell’ode pariniana è facile notare come, pur dopo secoli di evoluzione scientifica, molte persone siano restie a fidarsi della vaccinazione, credendo che qualsiasi atto del mondo scientifico – e, in particolar modo, di quello medico – sia volto a nuocere alla loro salute e non, come logica vorrebbe, a preservare l’umanità debellando malattie altrimenti mortali. Insomma, sembra che le colonne d’Ercole siano ancor ben presenti nella mente di ogni umano, come ben presente è la paura a valicarle.