Nell’ottobre del 2023 una rilevazione dell’ISTAT dichiarava la presenza, in Italia, di circa 3 milioni (2.924.000) di lavoratori precari, circa l’11% della somma totale. Ma cos’è il precariato? Come si misura? E cosa comporta?
Con precariato s’intende l’insieme dei lavoratori che vivono in una generale condizione lavorativa di incertezza (precaria appunto), la quale si protrae, involontariamente, per molto tempo. Con
questo termine, quindi, parliamo di rapporti di lavoro con mancanza di continuità e proprio per questo contorniati da incertezza per il lavoratore, che vede venir meno le condizioni di lavoro adeguate su cui poter pianificare la propria vita presente e futura.
Possiamo riscontrare il fenomeno del precariato in diversi settori: nell’agricoltura, nell’industria e nell’artigianato, ma anche nel settore dei servizi e del commercio, passando perfino per la pubblica amministrazione, attraverso un insieme molto variegato di fasce sociali. D’altro canto, le forme con
cui il precariato si palesa nel mercato del lavoro sono diverse e alcune sfuggono sia al controllo da parte degli enti deputati sia ai commenti dei mass media, in quanto vengono utilizzate modalità particolarmente subdole di attuare tali meccanismi. Tra questi ultimi possiamo comprendere i contratti a tempo determinato, la somministrazione del lavoro, il fenomeno della gig economy e l’abuso di dipendenti autonomi, tutte modalità che, se venissero usate correttamente, non danneggerebbero i lavoratori e non rientrerebbero tra le cause del precariato, ma che vengono sfruttate a favore delle aziende e in generale dei datori di lavoro, spesso per non dover assumere con contratti a tempo indeterminato.
Detto questo, il precariato risulta di difficile misurazione statistica a causa di vari elementi, ma il più importante sembra essere il fatto che, quando la flessibilità nel mercato del lavoro ha cominciato ad aumentare, non erano ancora disponibili specifici strumenti di rilevazione che ci consentissero di valutare e riconoscere i possibili fenomeni degenerativi di questa realtà. Spesso infatti vengono confuse mobilità o flessibilità lavorativa con il precariato; ma le prime consentono al lavoratore di investire su una professione, o comunque costruire una propria carriera pur dovendo spostarsi da un settore all’altro sia all’interno di uno stesso ente, sia da azienda ad azienda, e di accrescere il proprio valore professionale senza perdere i benefici maturati. Il precariato, al contrario, è costituito da una serie di contratti a termine che non contemplano l’accumulo nel tempo di vantaggi economici o professionali, perché non consentono al lavoratore di progredire nel proprio cammino professionale.
La loro funzione, dunque, non porta il lavoratore a migliorare il proprio valore e la propria remunerazione, bensì spezzetta il suo percorso lavorativo in un alternarsi di impieghi a breve/brevissimo termine.
Cosa comporta tutto ciò? Ovviamente quello che abbiamo riportato sopra: la svalutazione del valore del soggetto lavoratore e il perenne stato di incertezza per il futuro; lo sfruttamento da parte degli enti datori di lavoro e la mancanza di possibilità di crescita professionale. Molti dei lavoratori che si trovano in queste condizioni (ma di certo non tutti) sono giovani e spesso neolaureati che, se fortunati, vengono costretti a scegliere tra pochissime opzioni: ripiegare su un lavoro che poco c’entra con quello per cui hanno studiato; accontentarsi dei contratti di cui sopra, sperando in un colpo di fortuna o in qualcuno che riconosca il loro valore; oppure andarsene, che sia dal proprio paesino, dalla propria città, o dall’Italia in generale.
Sì, perché non c’è solo chi ritiene che le possibilità all’estero siano maggiori, ma anche chi, rimanendo in Italia, vive sulla propria pelle il divario tra Nord e Sud, e deve trasferirsi di città, o direttamente di regione.
Uno di loro è Marco Passarello, nato a Palermo nel 1982 e che ora vive a Brescia. Insegnante – precario fino a pochissimo tempo fa – di chimica e attore, tiene diversi laboratori teatrali nelle scuole e ha scritto testi frequentemente messi in scena, oltre al romanzo “Mi sono ritrovato vivo”, a tratti autobiografico, che vuole essere il racconto del viaggio di un uomo tra le parole che hanno caratterizzato la sua vita piena di incertezze, anche ma non solo lavorative.
Di questa e di altre precarietà – partendo dal suo romanzo (auto)biografico – ci parlerà lui stesso giovedì 29 febbraio dalle ore 19.00 presso il locale Garage (sito in Via Timavo 12 in zona universitaria a Verona) ove, per smorzare questo tema così serio e sentito, vi sarà in seguito la possibilità – dopo la serata con Marco protagonista – di usufruire del famoso ‘Giropizza’, che con 13 euro permette di mangiare quanta più pizza il nostro stomaco possa contenere!
Vi aspettiamo!