«Zar e Soviet!» La curiosa, breve epopea dei Mladorossi

«Chi non sta da una parte o dall’altra della barricata, è [lui stesso] la barricata». Con questa perentoria e tagliente uscita, Vladimir Lenin, padre della Rivoluzione Bolscevica, mette una volta per tutte nero su bianco l’assunto essenziale del buon rivoluzionario: o di qua, o di là! E chi si pone a mezza via, accetta di fatto di farsi trattare come un nemico! Volendo però mostrarci un poco più indulgenti rispetto all’Ul’janov, ci chiediamo: e coloro che, proprio per posizioni e ideologie pregresse, non possono fattivamente porsi o da una parte o dall’altra? In parole povere: che fare di coloro che non stanno nel mezzo per ignavia o desiderio di guadagno sia che risulti vincitrice una fazione o l’opposta, ma proprio perché ciò che propugnano sta a metà strada?

È con tale posizione mediana che può essere identificato il “gruppo politico” probabilmente più originale figlio dei movimenti scaturiti dal terremoto rivoluzionario del 1917: i Mladorossi (letteralmente, “I Giovani Russi”, ufficialmente istituitisi in movimento dall’esilio a Monaco di Baviera nel 1923 come “Unione per la/della Giovane Russia”). Composto specialmente di appartenenti alla classe media, professionisti, studenti e militari di medio grado, inizialmente si oppose tenacemente al processo rivoluzionario, cosa che comportò la condanna all’esilio per la maggioranza dei propri esponenti, i quali trovarono riparo soprattutto tra Germania e Francia. Tempo qualche anno e venne tuttavia operato un parziale mutamento di posizione: i Mladorossi iniziarono a ritenere infatti che, pur con tutti i difetti che gli potevano essere imputati, il sistema sovietico era comunque riuscito a fare della Russia uno Stato forte, preservandone e difendendone gli interessi in ogni campo. Credevano poi che la Rivoluzione d’Ottobre non fosse stata altro che l’inizio di un processo evolutivo atto a creare una nuova, forte e giovane Russia (di qui la motivazione del nome scelto dal gruppo), la quale potesse trattare alla pari coi più potenti Stati del mondo.

Erroneamente identificata da molti come filo-fascista, l’Unione dei Giovani Russi trasse da quell’alveo politico esclusivamente l’utilizzo del saluto romano, ma – vien da pensare – più per convinzione di essere avanguardia di quella che fin dal 1453 era stata identificata quale Terza Roma, piuttosto che per effettiva aderenza all’ideologia in questione; tanto più che, non pochi tra gli esiliati Mladorossi in Francia, contribuirono, negli anni Quaranta, alla Resistenza al nazifascismo, e che tale gruppo giammai fu visto di buon occhio dai membri del Partito Fascista Russo di Konstantin Rodzaevskij. A conferma di tale teoria, portiamo il fatto che essi abbandonarono l’uso di tale saluto appena dopo il lancio dell’Operazione Barbarossa da parte di Hitler e dello Stato Maggiore nazista: non volevano in alcun modo essere presi per fiancheggiatori degli invasori di quella che comunque era la loro Patria.

Aleksandr Kazembek

Al contrario, a partire dagli anni Trenta, la posizione dell’Unione si fece sempre più apertamente filo-sovietica: vi fu persino chi, fra i Mladorossi, propose di istituirsi ufficialmente in partito politico e di federarsi (pur mantenendo una propria indipendenza, anche formale) al PCUS, in modo da poter guadagnare ulteriori adesioni alla causa dei Soviet, soprattutto da parte di chi, magari non convintamente ma esclusivamente per anticomunismo, aveva dovuto scegliere la strada dell’opposizione “bianca”; veniva insomma da essi proposta una “de-ideologizzazione” dell’URSS, in modo che anche coloro che non professavano il socialismo scientifico potessero sentirsene pienamente cittadini. Fu a partire da questo periodo che si chiusero definitivamente i rapporti tra l’Unione per la Giovane Russia e gli altri gruppi di oppositori della Rivoluzione: questi ultimi accusarono infatti la prima di non essere altro che un gruppo di infiltrati sovietici all’interno dell’organizzazione dei movimenti controrivoluzionari, e portarono, a suffragio di tale loro tesi, il fatto che l’allora leader dei Mladorossi Aleksandr Kazembek (1902-1977) fu visto intrattenersi – presso un caffè parigino – assieme ad alcuni funzionari del locale consolato sovietico; altresì, portarono prove che il sopraccitato Kazembek e altri membri dell’Unione avessero stretto legami con agenti dei Servizi Segreti e della Polizia Segreta dell’URSS.

La proposta politica che i Giovani Russi impostarono, più che di originalità può esser tacciata di visionarietà: accettazione della modalità sovietica di governo – ai livelli medio-alto, mediano e base – sia dal punto di vista politico che economico, pur proponendo la parziale mutazione di quest’ultimo dalla drastica collettivizzazione alla socializzazione dell’economia; era stata, tra l’altro, questa la proposta dei social-rivoluzionari, gruppo politico che ebbe inizialmente un ruolo importante nel 1905 e nel ’17, ma poi venne di fatto decimato dai bolscevichi; e però, al vertice del tutto, l’imposizione di una figura che potesse racchiudere in sé l’anima profonda, ancestrale della Russia, e al contempo la sua tensione verso il futuro. E questa personalità venne identificata dai Mladorossi nel Granduca Kirill Vladimirovich Romanov (1876-1938), autoproclamatosi Imperatore – dal suo esilio francese – nel 1926, cugino di primo grado di Nicola II, e dunque capo della Famiglia Imperiale di Russia dalla morte, occorsa nel 1924, del Granduca Michele, fratello dello Zar ucciso con la famiglia ad Ekaterinburg. Questi – in senso chiaramente più spregiativo che altro definito dai controrivoluzionari “lo Zar sovietico” poiché promise, nel caso di una restaurazione imperiale in Russia, il mantenimento di talune caratteristiche di governo socialiste al fine di non far ripiombare i ceti popolari nella disgrazia più nera – riconobbe ufficialmente ed appoggiò le attività dell’Unione per la Giovane Russia; meglio: le riconobbe ed appoggiò fino a quando non ricevette, da alcuni suoi emissari, notizia degli strani agganci tra i vertici dell’organizzazione e i servizi segreti sovietici; d’accordo la proposta di uno “Stato misto” ma l’abbocco con rappresentanti dell’Unione Sovietica staliniana era davvero troppo per un membro – per quanto sui generis – della Famiglia Imperiale. Crediamo sia infatti inutile precisare che il Piccolo Padre, non vide mai di buon occhio quest’organizzazione dai contorni ideologici labili, indefiniti, impalpabili: tanto più che, non riconoscendo essa la superiorità delle impostazioni del marxismo-leninismo, riteneva dovesse essere trattata alla stregua di qualunque altro gruppo di fuoriusciti controrivoluzionari. Stupirà certo i lettori apprendere che, tale originale e visionaria impostazione statuale, non fu “ideata” dai Mladorossi per primi: Joseph Roth (1894-1939), il cantore della finis Austriae, autore, solo per citarne alcuni, di classici immortali della letteratura quali La marcia di Radetzky (1932), La cripta dei cappuccini e La leggenda del santo bevitore (entrambi del 1939) propose – quale ultima possibilità di preservare l’esistenza dell’Austria-Ungheria, che sempre più stava implodendo – l’istituzione di un macrostato federale governato sullo stile delle Repubbliche socialiste dei Consigli ma con al vertice, operante quasi solo ed esclusivamente funzioni rappresentative, l’Imperatore, l’unica figura che egli riteneva potesse davvero essere completa personificazione di uno Stato che al suo interno racchiudeva lingue, religioni, modelli di vita e tradizioni disparatissime.

Joseph Roth

Ma torniamo ai nostri Giovani Russi: del gruppo si cominciò a sentir parlare sempre meno man mano che la Seconda Guerra Mondiale si avvicinava ai confini sovietici; Stalin aveva, del resto, tutto l’interesse di far apparire l’URSS quale blocco monolitico, senza disaccordi al proprio interno e con degli scopi ben precisi, ossia la vittoria della Grande Guerra Patriottica e l’annientamento del nazismo. Decise dunque di non più curarsi di quel gruppuscolo di originali e indecisi, un po’ zaristi e un po’ socialisti. Come già ricordato, buona parte dei Mladorossi, rifugiatisi in Francia fin dal 1917, contribuì attivamente alle operazioni di Resistenza; ma, dalla fine degli anni Quaranta, di loro non si sentì più parlare. Si può datare dunque a quegli anni la dissoluzione ufficiale del gruppo.

Continuò a far parlare di sé invece Kazembek, il leader dell’Unione; trasferitosi a San Francisco sin dal principio dei Quaranta, divenne editorialista della Novaya Zarya (letteralmente: Nuova Alba), quotidiano in lingua russa per i colà emigrati; ma non dimenticò i suoi compatrioti, soprattutto quelli caduti prigionieri: si prodigò infatti nell’invio di aiuti – sia in denaro che in generi di prima necessità – ai russi nei campi di concentramento e prigionia tedeschi, personalmente e da membro della Young Men Christian Association. Insegnante di Lingua e Letteratura russa presso l’Università di Yale ed il Connecticut College tra il 1944 ed il ’57, s’impegnò pure nella formazione di una rete ideale che collegasse tra loro gli ortodossi russi emigrati sparsi per gli USA (la sua formazione accademica comprendeva anche la teologia, e la Chiesa Ortodossa Russa, nella di lui idea di Stato un po’ monarchico e un po’ comunista, doveva ricoprire un ruolo di assoluto primo piano: quello di custode dei valori tradizionali, da preservare sempre e comunque, ma che benissimo si potevano sposare con una forma socialista di governo politico-economico). Chiese nel 1957 il permesso di tornare permanentemente in Unione Sovietica; pare addirittura abbia inviato alla Pravda un articolo in cui faceva ammenda delle sue precedenti posizioni antisovietiche – per la verità poche, dal momento che fra i Mladorossi fu oggettivamente sempre il più bolscevico –, soprattutto di gioventù, ma non ne abbiamo prove provate, ed egli non lo ammise mai. Sta di fatto che la sua richiesta venne accolta: nello stesso 1957 fece ritorno in URSS e fu impiegato, fino alla morte, presso il Dipartimento Affari Esteri del Patriarcato di Mosca.