Lucrezio, Leopardi e l’evoluzione della specie

Forse, fra le teorie filosofiche createsi nel XIX sec. e in particolare nel contesto romantico, quella più peculiare è la concezione matrigna della natura. Ora, questa visione ha radici molto lontane nella cultura umana, risalendo fino agli atomisti e alla filosofia epicurea, trovando uno dei suoi più grandi sostenitori in Lucrezio (98-55 a.C.), fino a giungere alla cultura più prossima a noi con il suo più grande esponente: Leopardi.

Questa concezione andava in netto contrasto con la visione della Natura dell’epoca, in particolare con quella romantica e teleologica, che vedevano in essa la manifestazione di un ordine divino delle cose che tende a giungere a consapevolezza di sé nello spirito; tutte le forme della natura appaiono come simboli di un processo unitario la cui chiave si trova nello spirito, o meglio in un principio che si trova al di là dell’antitesi tra natura e spirito, tra corpo e anima, come la loro unità e totalità insieme. In più, peculiare della visione cristiana dell’epoca, era il pensiero che la natura fosse stata creata per l’uomo e tutto agisse in funzione di esso. La nuova concezione della Natura matrigna non vedeva assolutamente in essa qualcosa costruita per e in funzione dell’uomo, semplicemente lo ritenevano una delle tante creature che la popolano e come tale passibile d’estinzione da un momento all’altro – e pensiamoci bene: in fin dei conti non è quello che successe ai dinosauri? Nessuno potrebbe obbiettare che siano state le creature dominanti della preistoria, e credo che difficilmente si potrebbe obbiettare sul fatto che l’uomo non sarebbe arrivato a essere la “creatura perfetta” che è oggi se non si fossero estinti -; proprio su questo Leopardi ha incentrato il suo pensiero, di sicuro aiutato anche dall’epicureismo di Lucrezio illustrato nel De rerum natura, in cui, in contrasto con il pensiero stoico, dava una visione estremamente pessimistica della Natura, mostrando come fosse estremamente erroneo asserire una concezione provvidenzialistica dell’universo. Essa non si cura minimamente dell’uomo, anzi: lo opprime con il torrido caldo e con il gelo incessante; rapida ripopolerebbe la terra di sterpaglie, se l’uomo incessantemente non si opponesse con l’aratro («Inde duas porro prope partis fervidus ardor assiduusque geli casus mortalibus aufert. Quod superest arvi, tamen id natura sua vi sentibus obtucat, ni vis humana resistat vitai causa valido consueta bidenti ingemere et terram pressis proscindere aratris» vv. 204-209 libro V De rerum natura) e l’uomo è l’unico essere vivente che una volta nato non sa parlare e ha bisogno di incessante cura e protezione. Quindi è grande la vicinanza fra il pensiero lucreziano e quello leopardiano, che però si spinse oltre, criticando aspramente l’egocentrismo dell’uomo nella Ginestra (la sua ultima poesia, nonché sintesi massima di tutto il suo pensiero) credente di essere al centro del cosmo, di essere la creatura più forte sulla terra. Di sicuro, in merito a questo tema e alla presunta creazione della terra come luogo ameno per l’uomo, torneranno in mente le parole dalla Natura nel Dialogo della natura e di un islandese, in cui risponde alla critica voltale dall’islandese, asserente che non aveva senso far venire al mondo gli uomini per poi farli soffrire per il resto della loro vita, dicendo: «[…] Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n’avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei […]».

Ora, questo nuovo modo di vedere – anche se ho illustrato solo due fra gli esponenti di questa corrente filosofica – il mondo che l’uomo abitava, ebbe una grandissima influenza in tutta Europa (basti semplicemente pensare al poeta inglese Tennyson («Nature, red in tooth and claw»: la Natura, rossa di zanne e di artigli), o al pensiero filosofico di Schopenhauer. Però, spesso se ne sottovaluta l’impatto, o meglio: si sottoscrive la sua influenza al semplice ambito letterario e filosofico. Ebbene, a ben vedere, una fra le più grandi scoperte nella storia dell’uomo è stata proprio influenzata da questo pensiero: sto parlando della teoria dell’evoluzione della specie di Charles Darwin.

Innanzitutto, occorre spiegare il contesto in cui Darwin si formò e in cui fece la sua più grande scoperta: si era iscritto, per seguire le orme del padre e del nonno, alla Facoltà di Medicina dell’università di Edimburgo, e l’aveva abbandonata quando aveva scoperto che le lezioni erano «mortalmente noiose» e le esercitazioni insopportabili. Si trasferì allora (1827) al Christ’s College di Cambridge con l’intento di coltivare la teologia naturale e con la prospettiva di fare il parroco di campagna; avrebbe poi giudicato che «i due anni passati al Cambridge furono sprecati, […] in modo altrettanto completo dei due anni passati a Edimburgo». Ma in questi anni si era legato a Robert Grant, che lo aveva spinto al leggere le teorie evoluzionistiche di Lamarck, e successivamente a John Henslow. Merito suo fu l’occasione più importante di Darwin: al Cambridge fu raggiunto da una sua lettera, che lo informava del fatto che, a causa di un’improvvisa rinuncia, s’era aperta la possibilità di imbarcarsi sul Beagle, un brigantino di tre alberi, per un viaggio intorno al mondo che sarebbe certamente stato una splendida occasione per un naturalista; la missione era quella di «completare il rilevamento della Patagonia e della Terra del Fuoco, […] ispezionare le coste del Cile, del Perù e di alcune isole del Pacifico, ed eseguire una serie di misure di longitudine intorno al mondo». A bordo del Beagle Darwin imbarcò varie opere trattanti l’evoluzionismo: l’Histoire naturelle del animaux sans vertèbres di Lamarci, i Principles of geology di Lyell e varie opere di von Humboldt.

La svolta avvenne quando gli si parò davanti lo splendido spettacolo dell’arcipelago delle Galapagos: scoprì nel 1835 l’esistenza di una flora e di una fauna analoghe a quelle del continente sud americano, quantunque diversificate da isola a isola nonostante fossero identiche le condizioni climatiche (nonostante una delle principali teorie evoluzionistiche dell’ottocento proposta dal Lamarck asserisse che le variazioni delle specie avvenissero perché stimolate dalle condizioni ambientali del luogo in cui vivevano e che queste sarebbero poi state trasmesse ai propri discendenti). In particolare, si concentrò sull’osservazione di un genere di uccelli comprendente 14 specie che differiscono solo ed esclusivamente per il loro becco (oggi questi uccelli sono stati rinominati “fringuelli di Darwin”).

Variabilità morfologica di alcuni “fringuelli di Darwin” (Darwin 1839).

Quindi, rientrato in Inghilterra, si mise pazientemente all’opera e nel frattempo perse la fede cristiana. Il 24 novembre 1859 pubblicò il suo capolavoro intitolato On the origin of the species; la sua visione dell’evoluzione era basata su una semplice constatazione: le popolazioni vegetali e animali si moltiplicano con un tasso di incremento superiore a quello delle risorse dei luoghi d’origine, per cui si scatena ovunque un’aspra “lotta per l’esistenza” (struggle for life), soprattutto fra gli individui appartenenti alla stessa specie «in quanto vivono nello stesso territorio, necessitano degli stessi alimenti e sono esposti agli stessi pericoli». Questa aspra lotta stimola dei cambiamenti nell’individuo che porteranno a dei piccoli vantaggi consentendogli di alimentarsi di più e meglio rispetto agli altri, quindi di vivere più a lungo, per cui riuscirà ad accoppiarsi un maggior numero di volte e generano un maggior numero di discendenti; la variazioni che li ha resi dominanti, secondo Darwin, è, per sua stessa natura ereditaria.

Quindi, la Natura di Darwin non è minimamente creata in funzione edificante per l’uomo; semplicemente è disinteressata alle creature che la popolano e la vita è una continua lotta per la sopravvivenza ove solo il più forte sopravvive, e certo l’uomo non è escluso da questa lotta, certo esso non è l’ultimo gradino dell’evoluzione.

Questa fu una rivoluzione gigantesca sia dal punto di vista scientifico, sia dal punto di vista filosofico per le ragioni sopra esposte e, al contrario di quanto avvenne con l’eliocentrismo e con le successive scoperte galileiane, che furono alla base delle successive riflessioni filosofiche e letterarie che caratterizzarono il XVI e il XVII secolo (in primis il manierismo), si può asserire che mutatis mutandis (perché il discorso sulle teorie evoluzionistiche è piuttosto lungo e complesso) questa volta fu la filosofia e la letteratura che anticiparono la scienza e di sicuro contribuirono a preparare il terreno per la teoria dell’evoluzione per selezione naturale.