Il tragico lieto fine dei Promessi sposi

Molti di noi avranno sicuramente letto I promessi sposi e certo ci ricorderemo del finale felice per i nostri protagonisti, dove, dopo essersi finalmente stanziati a Bergamo, riescono a vivere in tranquillità e far crescere i loro pargoli in modo tranquillo – ovviamente raccontando ai figli il sugo della storia da loro vissuta. 

Tuttavia, l’intento di Manzoni non era quella di un lieto fine all’interno del suo romanzo. Ciò è facilmente ravvisabile dalla struttura a stampa dell’edizione da noi ora letta a scuola, ovvero la Quarantana (nome generalmente affidato alla seconda edizione del 1840), dove, immediatamente dopo il “lieto fine” del romanzo, compariva il frontespizio della Storia della colonna infame, come appendice all’opera.

Illustrazione finale dei Promessi sposi a opera di Francesco Gonin

Prima di analizzare il motivo per cui tale sistemazione voglia annullare l’idea di lieto fine dei Promessi sposi (si badi bene, intento voluto dallo stesso Manzoni), è bene parlare un attimo di ciò che tratta quest’opera, che rappresenta, invero, una trattazione storicamente scientifica dei fatti avvenuti durante la peste del 1630 a Milano. 

Il saggio narra di un processo intentato a Milano durante l’epidemia a due presunti untori (persone che, secondo le credenze dell’epoca, erano responsabili della propagazione della peste tramite un olio che veniva sparso sulle pareti degli edifici): Guglielmo Piazza e Giacomo Moro, rispettivamente un commissario sanitario e un barbiere, entrambi condannati, infine, al supplizio della ruota. Successivamente, la bottega di Moro venne distrutta e al suo posto venne eretta una colonna infame come monito a possibili untori.

Tale opera contiene minuziose analisi e spiegazioni dei processi giudiziari e delle torture intentate a coloro che venivano accusati di tale crimini e, certo, leggendola – nonché tenendo conto della continuità testuale con I promessi sposi, in specie i capitoli XXXI e XXXII -, è facile ravvisare la totale contrarietà di Manzoni verso tali metodi barbari di processo: lui, nipote di Cesare Beccaria e convinto dell’inesistenza degli untori, non poteva che criticare pesantemente tutto ciò che successe in quell’epoca estremamente buia. Soprattutto, l’avvenuto non può che provocare in lui rabbia, in quanto totale dimostrazione del libero arbitrio umano: questo fu provocato solo ed esclusivamente dall’uomo e risulterebbe ipocrita, secondo lo stesso autore, incolpare Dio.

Se consideriamo la continuità editoriale dello scritto con I promessi sposi, risulta facile capire come possa creare un “tragico lieto fine” all’interno del romanzo: la Storia della colonna infame descrive la cruda realtà di quell’epoca caratterizzata dalla presenza di un’innocenza disarmata, come la descrive Manzoni in un passo del saggio: << fa piacere il sentir l’innocenza sdegnata parlare un tal linguaggio; ma fa orrore rammentarsi l’innocenza davanti a quegli uomini stessi, spaventata, confusa, disperata, bugiarda, calunniatrice; l’innocenza imperterrita, costante veridica, e condannata ugualmente >> (Storia della colonna infame, cap. VI). È facile notare la profusione di aggettivi volti a smentire la fiducia incondizionata nella creazione a una prosperità familiare, rallegrata da figli, che rischiava di chiudere in modo troppo ottimistico I promessi sposi. Il secolo in cui avrebbe dovuto crescere la prole di Renzo e Lucia, << non pensava alla stirpe >> di coloro che condannavano alla morte – dopo un empio processo caratterizzato da protratte torture in cui era impossibile non dire ciò che gli aguzzini volevano sentirsi dire -, << uomini (fa male il pensarci, ma può egli non pensarci?) che avevano una famiglia, mogli, figliuoli >> (Storia della colonna infame, cap. IV).

I figli di Renzo non potranno sottrarsi al confronto e alla convivenza con gli orfani degli untori e cresceranno in un mondo dove i giudici abusano della tortura: una macchina narrativa strepitosa, in quanto in grado di estorcere confessioni romanzesche inverosimili; essi stessi sono autori che montano un romanzaccio storico: un pasticcio di fatti e di invenzioni, e tutto ciò non può che risultare abominevole. Tutta la generazione a venire dovrà confrontarsi con un mondo in continua ricerca di capri espiatori per l’epidemia e pronta a tutto pur di trovarli.