Chi ha ucciso Enrico Mattei? Un delitto eccellente prestissimo a Verona

Chi ha ucciso Enrico Mattei? Il titolo del libro di Federico Mosso, uscito per le edizioni romane GOG nel 2021, che direttamente in prima persona, parafrasando l’assassino, afferma: “Ho ucciso Enrico Mattei”, risponde sì alla domanda, ma non solo a questa. Fa viaggiare, nel tempo e nello spazio, di essi fa un tutt’uno. L’autore ci fa passare agevolmente dall’epoca dei capitani di ventura, tra Ezzelino III da Romano e Uberto Visconti (sì, pare strano, ma leggendo il libro capirete il perché) al Congo Belga dei primissimi anni Sessanta; dalla Sicilia dell’immediato secondo dopoguerra al lido di Ostia di fronte al cadavere di Pier Paolo Pasolini nel 1975, transitando per una sperduta isoletta americana palestra d’allenamento per i membri dell’ “Agenzia”.


Il bello è che l’autore – che chi scrive ha avuto il piacere di conoscere personalmente in occasione di una presentazione della sua precedente fatica letteraria, “Il Club degli Insonni”, edito sempre da GOG, 2018 – non solo descrive e struttura questi viaggi spaziotemporali al lettore, ma gli è accanto, spesse volte in compagnia del famigerato cane sputafuoco a sei zampe, nel Maine come in Katanga, tra i palazzi romani dell’alta società e in chiese sconsacrate di sperduti villaggi siciliani riattate a bivacco e centrali operative.

La quantità di personaggi invischiata – direttamente o meno – nel caso cardine descritto fin dal titolo, ovverosia la morte di Enrico Mattei, il Gran Visir dell’idrocarburo italiano, è pletorica, ma in un senso un po’ differente rispetto a quello standard del termine: perché molti personaggi in realtà sono lo stesso individuo, semplicemente con generalità, titoli e pure nazionalità diverse a seconda dell’ambito di movimento. Come altrimenti spiegare la presenza continua, ma mai nello stesso luogo e nello stesso momento, di un Maggiore dei Carabinieri assegnato al SIFAR prezzolato dalla CIA, di un assassino di mestiere della fantomatica “Agenzia” e di un rispettabile professionista esperto in questioni petrolifere che si muovono, pur diversamente, nella medesima direzione? Sono la stessa persona, che può scegliere chi essere, a seconda dei fatti oggettivi e della pericolosità del caso che si trova a seguire, anche se, per la verità, sono di più le occasioni in cui vige l’obbligo dell’ubbidienza ai propri momentanei superiori.


Il testo in questione è corposo e tutto vi trova agevolmente spazio, non banalmente mischiato insieme bensì astutamente shakerato da Mosso, che dimostra di trovarsi a suo agio tanto con la spy story quanto con la dissertazione storico-saggistica; i discorsi diretti sono moltissimi, ma non li si legge, vi si assiste.


L’Italia di allora era complessa (e non che abbia mai smesso di esserlo), il Patto di Varsavia pareva premere sempre più insistentemente ai confini orientali e un semplice ragioniere marchigiano aveva l’ardire di permettersi di voler trattare da pari a pari con le Sette Sorelle dell’industria energetica, lui col suo italianissimo cane fiammeggiante con due zampe in più del normale? Sì, Enrico Mattei lo ha fatto, e tra queste pagine l’autore, con tutti i crismi della verosimiglianza, ci vuol far sapere come e perché (i quando e dove sono già più pop) venne fermato e da chi, dietro ordine di chi. Perché lui sì, aveva avuto il coraggio: ma per alcuni (parecchi?) potenti non lo doveva fare. L’ENI rischiava di diventare uno stato nello Stato e il timore era che Enrico Mattei, già a capo di quello con l’iniziale minuscola, avesse l’ambizione di scalare le vette del potere di quello maiuscolo. E se il marchigiano ce l’avesse fatta? Egli faceva parte dell’ala più antimperialista, financo “anticapitalista” all’interno della Democrazia Cristiana: quella a cui – pur mantenendo la base di un deciso anticomunismo – nemmeno andava che il Bel Paese divenisse ruota di scorta mediterranea dei padroni del vapore (anzi, è proprio il caso di dire: del petrolio) a stelle e strisce, cosa che invece avrebbe fatto un gran piacere ad altre correnti DC, le quali si muovevano decisamente in tale direzione. Di Mattei si temeva tra le diverse cose ambisse alla Presidenza della Repubblica, al vertice della quale avrebbe certo trattato alla stessa maniera (pretendendo per l’Italia un trattamento del pari oggettivo) paesi dell’Alleanza Atlantica, socialisti reali e non allineati (per i quali aveva una certa predilezione e si diceva premesse presso la sua corrente democristiana per sempre più farvi avvicinare la Nazione).
Ma a coloro che si muovono sulle tracce di Mattei non infastidisce tanto la questione dello stato nello Stato, loro stessi lo sono, quanto il fatto che i suoi due stati cozzino irrimediabilmente con quelli che hanno in mente loro.

Fra il tanto – che non è mai troppo – di cui Federico Mosso parla non si può omettere, per concludere degnamente, il riferimento alla letteratura, soprattutto alla personalità di uno specifico letterato. Enrico Mattei era morto nel 1962 (il come è sospetto, probabilmente il perché è già più chiaro e si sa il dove), Pier Paolo Pasolini dieci anni dopo, nel 1972, sul caso ENI (metonimicamente: caso Mattei) iniziò a lavorare ad uno dei più misteriosi incompiuti della storia letteraria italiana: “Petrolio”. L’ultima parte, che si sarebbe dovuta intitolare “Lampi sull’ENI”, dopo che l’autore venne barbaramente ucciso stregonescamente sparì dalla circolazione, sottratta nottetempo dalla casa romana del poeta e mai più ritrovata.


Forse coloro che già avevano giocato al gatto col topo con Mattei avevano preso la decisione di chiudere definitivamente la questione?