Bronte, storia di una Ducea vista dalla Letteratura

“Comune di Bronte – Ingresso castello e Ducea Nelson di Bronte”

Queste scritte apparivano alla vista di Vincenzo Consolo quando decideva di fare visita a uno dei pezzi di Sicilia più combattuti. Lo scrittore siciliano, autore tra i più originali e complessi del Novecento parla delle vicissitudini della Ducea di Bronte in uno dei suoi articoli più famosi: E poi arrivò Bixio, l’angelo della morte.

Il sorriso dell’ignoto marinaio Vincenzo Consolo

Facciamo un passo indietro: la storia di Bronte risale al tempo dell’occupazione araba della Sicilia: di questa ducea faceva parte il paese di Maniace, così chiamato in onore dell’omonimo generale bizantino che proprio su quelle colline ottenne l’unica vittoria in una campagna militare ben poco trionfale, quella del 1173. Questa terra fu sempre oggetto di battaglie, come del resto lo fu tutta l’isola, ma per Bronte, per la Ducea, le cose iniziarono ad aggravarsi nel 1798. Nel Regno di Napoli, dopo una feroce battaglia, vinsero le forze repubblicane che instaurarono, per l’appunto, un governo repubblicano, che, tuttavia ebbe vita breve. Subito dopo la vittoria, i vincitori, seguaci di quell’Illuminismo giacobino che ricercava l’istaurazione di nuove forme politiche, cacciarono da Napoli le famiglie nobiliari che lì risiedevano. Quest’ultimi, dopo vari problemi di navigazione, sbarcarono in Sicilia, da dove poterono organizzare le forze per riottenere quello che credevano gli spettasse. Lo fecero con l’aiuto degli inglesi, tra i quali l’ammiraglio Nelson. L’ammiraglio ebbe da subito un amore incondizionato per questi posti, pur non essendoci mai stato. Consolo dice «gli piacque il vino e gli piacque tanto quel nome, Bronte, uno dei ciclopi che fabbricava le saette per Giove»; un amore tale che da quando visitò Bronte iniziò a firmarsi Bronte-Nelson. I suoi ammiratori fecero lo stesso; fece così anche Patrick Prunty, reverendo, padre delle scrittrici Emily Charlotte e Anne, conosciute oggi come le sorelle Bronte. Questo amore dell’ammiraglio per Bronte cascò a fagiolo per la ricollocata monarchia borbonica, che per sdebitarsi decise di regalare la ducea al comandante.

La ducea rimase inabitata per secoli; solo qualche sporadica apparizione dei discendenti della famiglia che, viste le difficoltà della Sicilia, non vollero restarci per più di qualche giorno. Così, tolta la campagna ai contadini brontesi e rimanendo ducea senza padrone, si decise di farla amministrare dalla famiglia Thovez che altro non faceva se non impartire multe per chi, inavvertitamente decidesse di far pascolare un capro o tagliare un arbusto in quei terreni. Tutto rimase così, immobile, fin quando non iniziò il Risorgimento.

Perché, allora Bixio, angelo della morte? Queste terre iniziarono ad essere contese dai comunisti capeggiati dall’avvocato Nicolò Lombardo. Chiaro che in tal caso il termine di “comunisti” non indichi un gruppo di persone accomunate da una comune ideologia, ma queste persone chiedevano che queste terre potessero essere lavorate dalla comunità a cui erano sempre appartenute. Non chiedevano altro che una riconsegna delle terre ai suoi contadini. Bixio ebbe l’ordine di sedare la rivolta. Consolo ci dice che dato il grande apprezzamento che ebbe Garibaldi presso la monarchia inglese e che gli stessi inglesi molti aiuti diedero all’impresa garibaldina, egli non poté far altro che sedarla sommariamente. Tutti conoscono dell’atteggiamento spesso sbrigativo di Nino Bixio e dell’impulsività che lo caratterizzava e diede l’ordine di processare tutti i rivoltosi brontesi “per lesa umanità”.

Ce ne parla anche Verga in una delle sue Novelle: prende ad esempio il caso indicativo del “pazzo del paese”. Sciascia, nella sua introduzione alla Corda Pazza ne parla con riferimento a Verga, dicendo che lo scrittore e fotografo verista è una fonte approvata in quanto contemporaneo ai fatti. Cita in suo aiuto lo storico Giovanni Radice e si avvale del Grandi, altro storico, tra le cui pagine si narra proprio di questo avvenimento: Nunzio Girolamo Fraiunco, così si chiamava quel «che non ci sarebbe stato bisogno di una perizia per dichiararlo infermo di mente» si dice che avesse camminato dalla prigione al luogo dell’esecuzione baciando «uno scapolare che portava al collo» dicendo al garibaldino che lo accompagnava che la Madonna lo avrebbe salvato. Infatti così fu: quando partì la scarica dei fucili lui si prostrò a terra evitando le pallottole; da terra, prostratosi ai piedi del Bixio disse «la Madonna mi ha fatto la grazia, ora fatemela voi», al che, il comandante diede l’ordine di ammazzare «questa canaglia».

Questo non fu che uno dei fatti che spinsero Vincenzo Consolo a parlare di Nino Bixio come dell’“angelo della morte”. Come un Ugo Foscolo in attesa di Napoleone, così i brontesi si erano appoggiati a coloro i quali si rivelarono loro antagonisti. Non per senso di astio o odio innato, ma perché troppo la corona inglese ebbe dato ai garibaldini per poterne ignorare le richieste. Così accadde che la rivolta fu soppressa nel sangue e ancora sangue sarebbe dovuto passare prima che le acque potessero calmarsi del tutto.

Nino Bixio a Bronte

La ducea rimase ai Nelson fino alla fine della seconda guerra mondiale. Prima che questa scoppiò l’unica preoccupazione dei Thovez, che ancora amministravano la ducea di Bronte, furono i socialisti. In quelle parti di Sicilia ce n’era un gran numero, ma in tutta la zona di Bronte-Maniace si contavano «solo 24 tra contadini e operai s’iscrissero alla fazione dei fasci del combattimento». E infatti nulla accadde fino a che, nella ridistribuzione delle terre imposta da Benito Mussolini, gl’inglesi non furono cacciati. In realtà a Bronte non accadde così. Mussolini non cacciò gli inglesi da Bronte, ma li spinse a farsi acquistare i terreni dai contadini. In sostanza i contadini, per poterle coltivare, comprarono le terre dai successori di Nelson indebitandosi. I frutti che raccolsero non permisero loro di adempiere al pagamento dei debiti e furono costretti a cederle nuovamente alla famiglia inglese che li acquistò a prezzi bassissimi, ripristinando, di fatto, la condizione precedente.

Il fatto che più di tutti impressiona Consolo è che dopo la guerra gl’inglesi vendettero le terre della Ducea al comune di Bronte, risolvendo, di fatto, attraverso una compravendita secoli e secoli di sangue versato dai contadini e dagli abitanti brontesi, schierati contro le prepotenze di chi si autonominò padrone. Ora la Ducea è, appunto, del Comune che fa pagare il biglietto d’ingresso ai visitatori. L’accento che pone il nostro scrittore siciliano è il seguente. Ora a Bronte pochi sono gli abitanti, sono per lo più emigrati al Nord o all’estero (si badi che scrisse questo articolo negli anni ’80 nel 1900). Questo è il frutto di sottrazione dei terreni dalle mani di chi li ha sempre abitati e lavorati: il deserto. Ecco però la magra consolazione: le famiglie brontesi hanno il prezzo del biglietto ridotto per vedere le proprie vecchie terre da coltivare.