Sacrificio? Questione di priorità

Le istituzioni di tutto il mondo stanno chiedendo ai propri cittadini uno sforzo, un impegno per far sì che questa emergenza sanitaria possa rientrare al più presto. Discutibile o meno, questa richiesta non incide allo stesso modo nella vita di ogni cittadino: chi resta a casa nella villa grande molti ettari, chi in trenta metri quadrati; chi resta a casa avendo, economicamente, le spalle scoperte e chi arranca e chiede aiuto. Insomma, chiedono un sacrificio che per alcuni è considerato tale, per altri è visto come “vacanza” e per altri ancora è considerata la via verso un baratro sicuro. Ma sacrificio significa questo?

La parola sacrificio deriva dal latino ed è composta da sacrum unito con facere; letteralmente significa compiere un’azione sacra. L’immaginazione corre irrimediabilmente verso le scene in cui greci e latini, prostrati nel tempio, portavano un capro o un qualsiasi animale come dono agli dei. Ne segue una immagine di sangue, di falò, di mutilazioni o che altro di macabro. Insomma, il sacrificio, oggi lo si accosta a queste scene; ed è proprio da queste scene che il significato del termine prende avvio. Non necessariamente ammazzando, immolando sacrifici, appunto. Sacrificio era considerata una qualsiasi azione che portasse sacralità al gesto che si stava compiendo: sacrificio era l’azione delle vestali di tenere il fuoco acceso, come lo era immolare il proprio capro più pasciuto alla dea Cerere per ringraziarla del raccolto.

Ma come è giunto al significato che noi oggi attribuiamo alla parola: noi oggi consideriamo sacrificio qualsiasi cosa a cui rinunciamo in favore di un’altra o per uno scopo considerato maggiore: sacrifico la torre per poi farti scacco matto, insomma. Sacrificio pertiene l’ambito della sacralità della vita, della nostra vita e quindi il termine è usato correttamente, se non fosse che la differenza tra le priorità la fa da padrona. In particolare il termine, escluso dall’ambito sacrale, viene così definito: l’offerta volontaria della propria vita per il bene della patria, della società, o per un ideale o grave privazione o rinuncia, volontaria o imposta, a beni e necessità elementari, materiali o morali. Nel primo caso della privazione della propria vita a fine, potremmo definire, eroico, dubbi non sussistono, in quanto, come abbiamo detto prima, se il sacrificio nella contemporaneità (atea e priva di ideali, rispetto al passato) pertiene l’ambito della sacralità della vita, rinunciarvi è il sacrificio sommo. Per quanto riguarda il secondo caso, fare dei distinguo è d’obbligo: quando si tratta di beni elementari o morali poco si può postillare, in quanto ognuno ha la propria moralità e considera elementare ciò di cui più ha necessità; ma per quanto riguarda i beni materiali bisogna tenere presente che i sacrifici che si facevano nell’antica Roma, avevano come oggetto da donare alle divinità la cosa che più aveva valore. Di conseguenza, sacrificio non si può dire di qualsiasi tipo di privazione. Il soldato sacrificava la sua armatura, il contadino le gemme più belle, il mercante la seta più rara. Oggi si dà in sacrificio la matita e si scrive con la penna.

Insomma, se chiedono a tutti un sacrificio per salvarci dalla crisi umanitaria si tenga presente di questo distinguo, o, meglio ancora, si usi un altro termine: sforziamoci con quel poco che abbiamo di aiutare chi ci aiuta, per esempio. Il che vuol dire che chi ha solo la matita non scrive più, chi oltre alla matita ha una penna, continua a scrivere.

Forse non andrebbero, in questa contemporaneità solida, sacrificati solo beni materiali, o non andrebbe censita l’umanità in base ad essi.

“Diffidate di coloro che predicano l’idea del sacrificio. Ciò che in realtà vogliono è che qualcuno si sacrifichi per loro”

Joan Fuster.