L’oscuro petrarchismo di Michelangelo

Michelangelo Buonarroti, probabilmente, è ricordato dalla maggior parte delle persone come pittore e scultore di indubbia magnificenza, ma non molti sanno che fu anche un grandissimo poeta. L’ispirazione per le sue Rime (pubblicate postume nel 1623), fu il canone petrarchista sancito da Bembo, che prescriveva canoni stilistici e linguistici ben precisi.

Ma attenzione, Michelangelo non si limitò solo a riprendere i caratteri fondamentali del petrarchismo, bensì li interpretò e li utilizzò per esprimere la propria personale interiorità.

Le Rime risalgono agli ultimi anni della maturità e della vecchiaia di Michelangelo; sia le Rime che le opere pittoriche di questo periodo caratterizzato da contrasti politici e spirituali riflettono una sensibilità religiosa tormentata e una visione tragica della condizione umana. Proprio l’accentuarsi di questi temi nelle sue poesie conferisce una particolare originalità all’opera di Michelangelo, che si distingue dalla produzione dei petrarchisti a lui contemporanei; i toni austeri, energici e intensamente espressivi, sembrano essere più ripresi da Dante che da Petrarca e non per niente la sua formazione poetica avviene sui testi di questi due giganti della nostra letteratura, conosciuti probabilmente nella cerchia umanistica della corte di Lorenzo de’Medici. Il suo canzoniere si muove in un lasso di tempo amplissimo, soffermandosi sui suoi sentimenti e sulle sue inquietudini: i primi sonetti sono concentrati più sul suo lavoro artistico (ed è proprio qui che si legge delle pene subite per dipingere la volta della Cappella Sistina, nonché una critica verso la Roma contemporanea dove si facevano “elmi e spade coi calici sacri”), mentre i successivi sono realizzati per Vittoria Colonna e per l’amato Tommaso de’Cavalieri. Ed è proprio qui che la sua poesia si sublima, concentrandosi sempre di più sul tema neoplatonico dell’amore, sia divino che umano, che viene tutto giocato intorno al contrasto tra amore e morte.

La sua poesia è contornata più da domande che da vere e proprie risposte, coadiuvata da un verso che deve molto alla tradizione letteraria e coeva del suo tempo, ma che lui è riuscito a modellare e cesellare – proprio come fosse una sua opera scultorea – per renderlo più personale e riflessivo possibile.

Le sue Rime rappresentano – insieme a quelle di Giovanni Dalla Casa –, in un periodo in cui possiamo dire che la poesia si fosse cristallizzata, cercando in tutti i modi possibili di emulare (e in alcuni casi arrivando quasi alla copia spudorata) Petrarca, un esempio perfetto di analisi interiore, nonché un modo per esorcizzare le proprie paure. Quest’ opera va letta anche solo per capire che la vita può risultare devastante e fuggire dal nostro controllo, nonostante tutti i nostri sforzi per cercare di domarla, o renderla almeno razionale; ma allo stesso tempo, per capire quanto possa essere forte l’amore verso di essa.

“Il futuro ci corre incontro a braccia spalancate ma non ci dà il tempo di abbracciarlo.

”Michelangelo Buonarroti.