È da qualche anno a questa parte tornata in auge una disciplina che non ci pare esagerato definire essenziale alla comprensione del sistema mondo odierno, soprattutto per quanto concerne il rapporto non tanto tra i singoli Stati nazionali, quanto piuttosto quello tra le macroaree che da quelli sono composte. Stiamo parlando della geopolitica, fino a relativamente poco tempo fa derubricata al rango di “scienza nazista” (o, quando andava bene, “scienza imperialista”), pur non essendosene certo serviti soltanto gli alti vertici del Terzo Reich, anzi.
Il perché è comunque presto detto: iniziatore di tale disciplina è considerato quasi unanimemente Karl Haushofer (1869-1946), militare, politologo ed esploratore tedesco, appassionato di filosofia e ideologie politiche orientali ed estremo-orientali (passione derivatagli dal devoto studio di Arthur Schopenhauer, del quale egli si considerava idealmente allievo). Il concetto haushoferiano di geopolitica applicata al mondo germanico era molto semplice: conquista dell’Europa orientale, della Russia e dell’Asia centrale, insomma di quel grande territorio che conobbe le migrazioni e i movimenti delle popolazioni ariane millenni prima. Ci si renderà ben conto che la prassi di conquista nazionalsocialista si muoverà proprio in tale direzione (con in più talune spinte verso l’Oriente estremo: come dimenticare le spedizioni in Tibet di Heinrich Himmler e vertici delle Schutzstaffel e della Thule Gesellschaft alla ricerca dell’ingresso del mitico Regno sotterraneo di Agartha?) ma quasi certamente non per influenza diretta di Haushofer, il quale – checché se ne dica – non influenzò poi così tanto, o comunque non certo in maniera diretta, i vertici del Reich che voleva essere millenario; nell’ “ambiente” infatti, poté contare su di un solo discepolo ufficiale, Rudolph Hess, il quale lo presentò a Hitler che certamente lo sopportò ma mai ne fece un ideologo di riferimento. Sta di fatto, comunque, che ad Haushofer fu permesso di praticare in tutta tranquillità la propria attività intellettuale durante il periodo del regime: mantenne in vita il proprio centro studi, la Società Vril o Loggia Luminosa, fu sempre permessa la pubblicazione della rivista da lui fondata e diretta, Zeitschrift für Geopolitik (Rivista di Geopolitica) e divenne accademico di Germania. Non vide però di buon occhio, in pieno Secondo Conflitto Mondiale, l’invasione tedesca dell’URSS, nel rapportarsi con la quale riteneva fosse da preferirsi la via diplomatica. Karl Haushofer, ridotto in disgrazia sul finire della guerra, pur essendo stato scagionato dalle accuse che avrebbero potuto farlo processare a Norimberga, scelse di togliersi la vita assieme alla moglie Martha, di origini ebraiche, ingerendo dell’arsenico nella notte tra il 12 e 13 marzo 1946.
Spostiamoci ora in ambito britannico per fare la conoscenza dell’altro padre della geopolitica, Halford John Mackinder (1861-1947), il quale individuò in quel macroterritorio oggi chiamato Eurasia il fulcro della (geo)politica mondiale; Mackinder lo denominò Heartland, e lo fece delimitare a ovest dal fiume russo Volga, a est dal Fiume Azzurro, in territorio cinese, a nord dal territorio Artico e a sud dalle cime più alte ed impervie della catena dell’Himalaya. Il geografo ed esploratore inglese presentò questa sua teoria nel 1904 con l’articolo The geographical Pivot of History (“Il perno geografico della Storia”) pubblicato dal Geographical Journal, rivista ufficiale della Royal Geographical Society; all’epoca, quasi tutto il territorio di cui sopra era controllato dall’Impero Russo. Mackinder sosteneva che, chiunque fosse riuscito a controllare l’Heartland, avrebbe guadagnato di rimando il dominio di tutto il Continente Antico, ossia di quello sterminato territorio che il gergo mackinderiano identifica come Eurafrasia o Isola mondo Lisbona – Vladivostok – Capo di Buona Speranza: il settore centrale dell’orbe terracqueo, comprendente più della metà delle risorse mondiali e perciò stesso inavvicinabile, dal punto di vista della potenza, da qualunque talassocrazia. Centro nevralgico di questa Isola mondo, meglio, trampolino di lancio per accedervi, era considerata l’Europa orientale; e infatti Mackinder sostenne esplicitamente, nel proprio saggio: «Chi controlla l’Est Europa comanda l’Heartland: chi controlla l’Heartland comanda l’Isola-Mondo: chi controlla l’Isola-Mondo comanda il mondo».
Il britannico certo non disconosceva il potere – per quanto parziale – che le talassocrazie potevano ottenere mediante il controllo dei tragitti e delle economie marittime, ma fece proprio l’adagio di sir Walter Raleigh, tra i favoriti della Regina Elisabetta I, che pur essendo stato tra i principali iniziatori dell’espansionismo coloniale britannico (fu lui a sbarcare sulle coste dell’America settentrionale nel 1584 e a ribattezzare – in onore della propria sovrana – Virginia la terra su cui pose piede) si rese ben donde che l’espansionismo coloniale in sé, sulla lunga distanza avrebbe portato a ben poco: «Chi possiede il mare, possiede il commercio mondiale; chi possiede il commercio, possiede la ricchezza; chi possiede la ricchezza del mondo [ricordate l’enorme presenza di risorse in Eurafrasia?] possiede il mondo stesso». Credo appaia qui più che evidente il limite del concetto geopolitico talassocratico, per il quale – il più delle volte – l’espansionismo non è mezzo, ma fine.
Trattando del rapporto/scontro tra potenze di terra e potenze di mare, non si può omettere di almeno menzionare la fondamentale opera Terra e Mare (1942) del giurista, filosofo e politologo tedesco Carl Schmitt (1888-1985), ove l’autore, sullo sfondo del ragionamento sul cambiamento del sistema-mondo a partire dalla scoperta delle Americhe e sulla considerazione del fatto che è la dicotomia Terra-Mare il motore della storia umana, postula un elemento essenziale: nonostante la superficie del nostro pianeta sia occupata più dall’acqua che dalle terre emerse, l’uomo è e sempre rimarrà un essere di terra; e dei quattro elementi tradizionali è la terra a determinare il più dell’esistenza umana. Alla luce di ciò, sembrerebbe certo che Schmitt assegni in modo definito e definitivo più importanza all’elemento terreo piuttosto che a quello marino; ma proseguendo nella lettura del saggio, l’autore, con una magistrale discesa nell’inconscio archetipico dell’uomo, riconosce che è nel mare che buona parte dell’umanità d’ogni tempo e luogo ha visto la causa prima d’ogni vita, portando l’esempio di Afrodite, nata dalla schiuma del medesimo e di Talete di Mileto, che identifica l’archè proprio nell’acqua. La continuazione pare logica: la dicotomia Terra-Mare persisterà fino a quando il Mondo avrà vita, dal momento che le due visioni sono inconciliabili fin nel profondo.
Anche l’Italia, Paese ove, al giorno d’oggi – con le lodevoli eccezioni dei periodici Limes ed Eurasia. Rivista di Studi Geopolitici, il primo di carattere più oggettivo-scientifico, il secondo esplicitamente calato nel campo antimperialista – la disciplina di cui stiamo trattando pare oscura ai più, conobbe, tempo addietro, la propria Scuola di Geopolitica. Con la precisa dicitura di “scuola italiana di geopolitica” s’intende infatti quella corrente di studi che nacque presso l’Università di Trieste per incentivo di Giorgio Roletto (1885-1967), geografo e Rettore della sopraccitata università nel 1944-’45 ed Ernesto Massi (1909-1997), anch’egli geografo, presidente della Società Geografica Italiana dal 1978 all’ ‘87 e politico tra le file del MSI, del quale fu vicesegretario, la quale editò, tra il 1939 e il 1942 la rivista Geopolitica. Rassegna mensile di geografia politica, economica, sociale, coloniale (visto il periodo non stupiamocene troppo). Inutile precisare che la geopolitica italiana dell’epoca, teorica ma anche di prassi, vedeva quali estensioni naturali della nostra Penisola soprattutto la costa africana del Mediterraneo e i Balcani.
Alla luce di quanto fin qui esplicato, parrebbe più che giusto affibbiare alla geopolitica l’attributo di “scienza imperialista”; eppure non è così, o perlomeno non a partire dalla metà circa degli anni Novanta del secolo scorso (con una propaggine, un po’ più indietro nel tempo, sugli anni Ottanta, epoca in cui fece il suo ritorno sulle scene il pensatore geopolitico belga Jean Thiriart dopo un silenzio più che decennale), quando lo studio di tale disciplina fu ripreso in maniera seria, e senza dubbio con altri parametri. Non ci sembra infatti esagerato affermare che, ad oggi, l’approfondimento geopolitico rappresenti una freccia essenziale nella faretra di coloro che si pongono in contrasto rispetto a una visione del mondo a guida unipolare/americanocentrica. Infatti come non riconoscere la notevole influenza del pensiero e dei pensatori geopolitici di fronte alle recenti azioni di contrasto allo strapotere economico-politico degli USA? Si pensi soltanto all’alleanza dei BRICS (acronimo formato dalle lettere iniziali dei nomi dei Paesi che ne fanno parte: Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica): originariamente di carattere soltanto economico, con lo scopo cioè della costituzione di un mercato commerciale globale che non fosse tarato sul valore del dollaro, successivamente l’alleanza si è sviluppata in ambito politico in senso più stretto, iniziando a stringere rapporti – per l’appunto – geopolitici con altri Stati aventi cara la costituzione di un mondo retto sulla multipolarità: Iran, Siria assadista, paesi dell’ALBA (Alleanza Bolivariana per le Americhe), progetto di cooperazione politica, economica e sociale promossa dal Venezuela e da Cuba tra Paesi dell’America centrale, latina e caraibici, creata in opposizione all’Area di libero commercio delle Americhe fortemente voluta dagli Stati Uniti, a patto, ovviamente, di farvi la parte dei padroni…
In conclusione, reinterpretando indegnamente e secondo nostra utilità un celebre adagio di Mao Tse-Tung: grande è la confusione nel mondo, la situazione per la geopolitica è eccellente! Siamo infatti calati all’interno di un periodo storico in cui la disciplina sta mietendo un successo fino a poco tempo fa inaspettato, fatto comprovato anche solamente dalla pletora di lettori che si sono recentemente accostati all’opera, finalmente disponibile in lingua italiana, di Aleksandr Dugin (1962), filosofo e politologo russo propugnatore dell’unità eurasiatica al fine di combattere e sconfiggere l’Occidente materialista a guida statunitense.
Ma ci sono dei però: intanto, il sospetto che si tratti niente più che di una moda culturale, la quale, così come è sorta, possa sparire; poi, che la geopolitica non venga trattata per ciò che veramente è, ma semplicemente quale sinonimo della politica internazionale, dalla quale la differenziano invece parecchi concetti. Difatti «[…] quest’area di studio è molto di più. È una scienza di sintesi, cioè un campo interdisciplinare tra storia, geografia, economia e strategia […]» è riportato sulla quarta di copertina di Geopolitica. Storia di un’ideologia, saggio del giovane studioso Amedeo Maddaluno edito l’anno scorso dalla casa editrice fiorentina goWare. Dunque, lo studio e l’approfondimento della geopolitica sì, ma a patto che da geopolitica la si tratti.