Cosa è rimasto di Silvio Berlusconi a un anno dalla morte?

Un anno fa esatto, il 12 giugno 2023, Silvio Berlusconi si spegneva presso l’Ospedale San Raffaele di Milano; avrebbe compiuto 87 anni il 29 settembre successivo, dei quali una trentina passati sulla cresta dell’onda politica italiana (quando più, quando meno), molti di più su quella imprenditoriale.

Fin dal giorno successivo alla dipartita ci sono stati propinati servizi telegiornalistici, speciali dei programmi televisivi e un profluvio di articoli sull’uomo che – piaccia o meno – ha cambiato il modo di pensare e fare la politica, in Italia ma pure altrove, cosa che non hanno potuto non ammettere perfino gli acerrimi nemici storici del Partito Democratico per bocca della Segretaria Elly Schlein e quelli un po’ più recenti ma altrettanto, se non addirittura più, agguerriti del Movimento 5Stelle, nelle parole del loro “capo politico”, il già Premier Giuseppe Conte.

Chi scrive, non ritenendo al tempo di avere poi granché da dire e conscio, nel caso, di risultare più che “ultimo fra cotanto senno”, ha preferito starsene in disparte e svolgere semplicemente la mansione del lettore, almeno fino al recente terminare della lettura di due saggi che, invece, qualche idea da buttare giù per iscritto gliel’hanno data.

Si tratta di Silvio – La vita vera di Berlusconi, a firma di Paolo Guzzanti (Compagnia editoriale Aliberti, 2023), versione riveduta, corretta e aggiornata agli eventi successivi della “biografia” che Guzzanti dedicò al Cavaliere nell’oramai non più vicinissimo 2009 (Guzzanti vs Berlusconi, sempre per Aliberti) e di Beato lui! Panegirico dell’arcitaliano Silvio Berlusconi di Pietrangelo Buttafuoco (Longanesi, 2023): due testi particolari per molti aspetti, su alcuni dei quali pure torneremo, ma in primis per le figure dei rispettivi autori e per le idee da essi espresse.

Guzzanti, infatti, berlusconiano di ferro all’incirca per un decennio (da fine anni Novanta al famigerato – chi vorrà leggere il libro, capirà – 2009), speranzoso nel fatto che Silvio si sarebbe fatto latore di quella “rivoluzione liberale” di cui l’Italia allora avrebbe avuto e tuttora avrebbe, a suo dire, bisogno, è autore di un testo figlio primogenito del suo disamoramento per quella così ingombrante figura. Buttafuoco, invece, dichiaratamente uomo di destra ma di una destra non berlusconiana (e a patto che il berlusconismo, vera e propria contro-ideologia politica, possa essere collocato a destra), è stato evidentemente molto più mosso dall’indulgenza e dal rispetto dovuto al fatto che Berlusconi già non era più, nella stesura del suo saggio. Gli stessi sottotitoli evidenziano questa differenza: se quello del libro di Guzzanti recita, peraltro molto asetticamente, “vita vera”, quello dell’altro è un “panegirico”, e per ciò stesso molto più incline alla letteratura che alla sterile cronaca: “Epico, comico, tragico. Berlusconi come non l’avete mai visto” sta scritto sulla fascetta pubblicitaria.

Gli argomenti trattati nei due libri potrebbero perfino essere considerati speculari, ovviamente al netto del diversissimo numero di pagine: 490 quello di Guzzanti, 140 quello di Buttafuoco. L’infanzia “prodigiosa” (parole di Silvio in persona), la carriera da studente modello, quindi quella imprenditoriale più brillante ancora, fino alla discesa nell’agone politico, perché “l’Italia è il paese che amo”; poi ovviamente i tratti più personali della figura, i quali però, per molti versi, spesse volte hanno collimato col suo essere (stato) personaggio pubblico, tra cui non si possono non menzionare la profonda, sincera (checché se ne dica) amicizia col Presidente russo Vladimir Putin (tra le varie cause la principale del disamoramento di Paolo Guzzanti) e la viscerale passione berlusconiana per “l’altra metà del cielo”.

Per Silvio Berlusconi può essere o amore o odio, rarissime le vie di mezzo; certo, magari lo si può apprezzare per determinate sue specifiche, per esempio gli appassionati di calcio in quanto fu Presidente del Milan oggettivamente più vittorioso di sempre, ma le varianti si fermano qui e sicuramente non fanno testo le pronunce di stima postume da parte dei suoi avversari più integerrimi ed integralisti, quelle sono azioni a cui la permanenza nel consesso civile ti obbliga, sono parole di circostanza che scaturiscono dal cervello, non provenienti sinceramente dal cuore.

Si è oggettivamente al cospetto di un uomo dall’altissima, vertiginosa considerazione di sé stesso; beh, disse l’amata madre, Rosa Bossi in Berlusconi, a Paolo Guzzanti, intervistata da quest’ultimo, quello è senz’altro vero, “al mio Silvio è sempre piaciuto comandare”, ma ha sempre fatto godere anche gli altri dei benefici che, chiunque altro al posto suo, avrebbe tenuto esclusivamente per sé stesso. Di una sorta di essere mitologico (quanto gli sarebbe piaciuta questa attribuzione?) partito con l’idea non tanto di portare, quanto di fare e riuscire nella rivoluzione liberale (qualsiasi cosa significhi) in Italia e arrivato ad un laconico, per quanto anche abbastanza prevedibile: “Se solo mi lasciassero fare come mi pare…”, con il cesello messo dal suo amico di sempre Fedele (non solo all’anagrafe) Confalonieri che risponde, per salvare capra e cavoli, ad una domanda che voleva essere provocatoria di Claudio Sabelli Fioretti, allora inviato de la Stampa: “Silvio? Certo, populista e peronista [!], però democratico”. Neanche a dirlo: a Paolo Guzzanti piaceva il primo Berlusconi, quello che amava definire “proto-liberale”, Pietrangelo Buttafuoco dichiara – più o meno velatamente – di aver sempre apprezzato di più quello autoritario (?).

Discettare di un personaggio come Silvio Berlusconi mette di fronte a due sole possibilità, peraltro autoescludentisi: o trattare tutto per filo e per segno, ma ne risulterebbe uno scritto di una lunghezza eccessiva per questo contenitore, oppure avviarsi direttamente alle conclusioni; opterò per la seconda strada, ma con beneficio d’inventario. In maniera certo differente, figlia della diversità dello stile letterario ma soprattutto delle posizioni assunte via via dai due autori, vengono descritte, nei libri di cui sopra, vicende, accadimenti, molto più generalmente “cose” che sono state, per diversi anni, argomenti privilegiati di discussione ai livelli più disparati, dai bar di paese alle aule di tribunale, in Italia e fuori dai patri confini.

Dai rapporti del Cavaliere con esponenti più o meno ufficiali di Cosa Nostra (epocale – nel senso neutrale che è proprio dell’aggettivo! – una difesa a oltranza di uno dei maggiori aficionados berlusconiani, in cui pressappoco si affermava che, com’è naturale, per chi voglia far impresa nel Südtirol, imbattersi in madrelingua tedeschi, altrettanto lo è, per chi la voglia fare in Sicilia o più generalmente nel Sud Italia, avere a che fare con affiliati, anche insospettabili, a famiglie o cosche mafiose), alla più estrema delle pronunce pro-Putin: “Il mio amico Vladimir mi ha detto che quando avrà preso il presidente georgiano Saakashvili lo inchioderà per le palle a un albero” (era il 2008, premessa all’annus – per Paolo Guzzanti – horribilis successivo); dalla festicciola, in quel di Casoria nel napoletano, per i diciott’anni di tal Noemi Letizia alla vicenda che vide protagonista quella Karima el-Mahroug che poi si scoprì non essere proprio per nulla la nipote (neppure alla lontanissima) dell’allora Presidente egiziano Hosni Mubarak. Vicende, le ultime due citate, trattate da Guzzanti quali sintomi ultimi di una decadenza (in primis morale ma che stava diventando anche fisica) le cui radici erano comunque ben piantate nel passato, da Pietrangelo Buttafuoco come gesti certo avventati, ma commessi da chi ha sempre avuto l’amore come orizzonte primario, e talmente ansioso di darne e riceverne da far passare in secondo piano quello coniugale.

Ma queste, ancorché avvenute così pochi anni fa, sono vicende già consegnate alla Storia, e per ciò stesso degne di una considerazione e uno studio che certamente nei suoi risultati ultimi dovrà essere quanto più possibile oggettivo, ma che per gli inizi ha tutto il diritto di far propri anche i crismi della soggettività!

Per concludere davvero, e anche rispondere alla domanda che è il titolo di questo scritto, mi viene in aiuto un libro che lessi diversi anni fa; vi si faceva cenno ad una intervista a Franco Cardini, insigne storico medievista il quale, la propria carriera pubblica, la iniziò con la militanza politica, una militanza decisamente a destra. Ricordava Cardini: “Incontrai da solo il fascismo: un fascismo a mia immagine e somiglianza. Una volta ho detto a Vittoria Ronchey [scrittrice e traduttrice moglie di Alberto, giornalista, scrittore e uomo politico e madre dell’insigne bizantinista Silvia] che, se i suoi figli erano stati un tempo dei marxisti immaginari, io ero stato […] un fascista immaginario […]”. Ebbene, chi scrive è dell’idea che – salvo sconvolgimenti che oggi come oggi ritiene impensabili – sempre più frequentemente, stante l’assoluta mancanza, sul piano del politico, di uomini che sappiano e vogliano far parlare di sé (nel bene e nel male) facendo seguire però alla parola l’azione, si assisterà per anni ad una presenza – forse ingombrante, forse che farà scendere una lacrimuccia di commozione a chi l’originale se lo ricorda – notevole di berlusconiani immaginari, o berlusconiani in assenza di Berlusconi che dir si voglia! Ecco cosa è rimasto di Silvio Berlusconi a un anno dalla morte, e cosa ancora rimarrà per moltissimi anni.